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"L'erede fortunata"
di Carlo Goldoni
regia di William Jean Bertozzo





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Presentazione

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Prosegue l’angolo dedicato a Carlo Goldoni dalla rassegna "Teatro nei cortili": sul palco allestito nel chiostro di S. Eufemia - da stasera (alle 21.15) a martedì 31 - la compagnia La Mschera proporrà L’erede fortunata, un’opera che, a dispetto del titolo, fu un tale fiasco al suo debutto nel 1750 che l’autore promise ai suoi concittadini di riconquistarne il favore componendo, entro quell’anno, 16 nuove commedie. Sotto le vesti di una trama apparentemente simile ad altre, la disputa attorno a un testamento, in cui il defunto Petronio Balanzoni citava l’amico Pancrazio come unico erede della sua fortuna e come promesso sposo alla figlia Rosaura, si nascondono temi a cui gli spettatori settecenteschi non erano ancora preparati. Precorrendo i tempi di oltre mezzo secolo, l’allora poco più che quarantenne Goldoni, svestiva le maschere borghesi e introduceva lunghissimi monologhi interiori, sondando in profondità le intime strade dell’emozione. «Quale miglior cosa, per rendere omaggio al grande drammaturgo, che rispolverare proprio quel testo che fu allora una sconfitta?», si è detto il regista William Bertozzo che, per sottolinearne il piglio modernista, l’ha ambientato in un luogo e in un periodo storico che l’avrebbero accolto con furore: la Verona di Berto Barbarani. Sulle musiche per pianoforte e chitarra di Paganini, gli attori si muoveranno in una scenografia disposta su tre piani, con effetto di "teatro nel teatro" D.CAR.
(L'Arena di Verona del 26.07.07)

Note di regia

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Nota più alla critica e alla storia del teatro che al grande pubblico, la commedia, con cui la nostra compagnia teatrale intende onorare il terzo centenario della nascita del grande autore veneziano, venne composta nel 1748 e rappresentata due anni dopo al Sant'Angelo di Venezia. Fu un clamoroso insuccesso. Ma quella débacle del 1750 diede a Goldoni l’occasione di rispondere alla sfiducia del pubblico e a quella dei Suoi detrattori, che nella caduta dell'Erede fortunata avevano creduto di vedere la Sua fine, con la famosa promessa delle sedici nuove commedie, per la stagione teatrale successiva. Dal nostro punto di vista, cimentarsi nella rivisitazione di un clamoroso fallimento, in un così importante anniversario, più che esporci al rischio nell’ottenimento di un sicuro risultato (che altre commedie già note e collaudate, invece, garantirebbero), ci offre piuttosto l’opportunità di dimostrare, sulla scena, come L'Erede fortunata sia il precoce tentativo di un Goldoni teso già all’attuazione di quella Sua rivoluzione teatrale in progress. Se, in effetti, con il Momolo cortesan si era dato l’abbrivio affinché ciò che l’attore recita sia quello che l’autore ha scritto, con L'Erede fortunata siamo in presenza del duplice tentativo di togliere, in primo luogo, le maschere ai commedianti facendo opportunamente emergere, infine, la psicologia dei personaggi implicata nell’elaborazione drammaturgica dell’autore. Un tentativo, si è detto, promosso in un tempo in cui il gusto del pubblico ancora non era maturo per accogliere una commedia che, senza tema di audacia, possiamo definire come antesignana di quel teatro borghese che connoterà il secolo successivo e di cui possiamo invocare, in alcune opere almeno, Carlo Goldoni quale indubbio precursore. A ben guardare le maschere nude sono tutte lì, ancora ben visibili, che agiscono nella situazione creatasi dall’occasione di un lascito conteso: un’eredità, una dote, una sposa. Si riconoscono senz’altro il mercante d’onore, il dottore saccente, l’innamorato ardente, il servo fedele, lo zanni sprovveduto, la gelosa piccata, ad ognuno dei quali Goldoni fa vibrare alcuna delle corde psicologiche: ed è lo stesso strumento del monologo introspettivo, più volte utilizzato nell’opera, che avvalora dunque la tesi di una commedia che anticipa temi e momenti della maturità goldoniana e del teatro ottocentesco. Già la trama intessuta per la vicenda è calibrata allo scopo. Rosaura è destinata, per decisione testamentaria paterna, a sposare il suo vecchio tutore Pancrazio, pena la perdita della doviziosa eredità: e l’amore, corrisposto, che ella nutre per Ottavio, figlio di Pancrazio, è altresì condannato dall’obbedienza e dall’interesse. Ma l’intrigo ordito ai danni del tutore dagli immediati rivali all’eredità, lo zio Dottore e il cugino Florindo, vengono sventati da Trastullo, servitore saggio e fedele, che contribuirà in tal modo alla felice soluzione finale dello scioglimento del vincolo economico e matrimoniale a vantaggio della fortunata erede. Fanno da contrappunto al sospirato innamoramento di Ottavio e Rosaura, le ardenti gelosie di Beatrice per il marito Lelio, nonché all’onesta scaltrezza del servitore onorato, le ingenuità grossolane dello zanni funzionali sia agli equivoci dell’intreccio che al mantenimento farsesco delle controscene. Dal punto di vista registico, la nostra mise en scéne affronta testo e situazione secondo i canoni di quella sperimentazione contemporanea che vuole essere ad un tempo ricerca interpretativa (dallo spazio d’azione teatrale, alle musiche di scena, dalla collocazione temporale attuale alla connotazione dei personaggi) e fedeltà ai significati dell’autore. Un rivisitare, riproponendo, il messaggio di Goldoni che non è travisamento, ma tradizione: mantenimento e conservazione nel rinnovamento


Personaggi ed interpreti

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Personaggi ed interpreti in ordine di apparizione:
Pancrazio Aretusi ⇒ Claudio Gallio
Dottor Balanzoni ⇒ Roberto Zamboni
Florindo Ardenti ⇒ Paolo Bertagnoli
Ottavio ⇒ Alessandro Boer
Notaio ⇒ Eddi Rizzati
Trastullo ⇒ Gian Enrico Bertacche
Arlecchino ⇒ Claudio Andreani
Fiammetta ⇒ Mara Seghetti
Lelio ⇒ Christian Stanzial
Beatrice ⇒ Francesca Spezie
Rosaura ⇒ Mariacristina Filippin
Regia ⇒ William Jean Bertozzo
Allestimento scenico e costumi ⇒ Eddy Rizzati, Laura Zanella, Anna Gasparon
Ricerca musicale ⇒ Claudio Gallio e Paolo Bertagnoli
Assistente alla regia ⇒ Giuliana Gasparon


La critica

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La critica:

È un’altalenarsi fra tradizione e innovazione, L’erede fortunata in scena, al chiostro di Sant’ Eufemia, fino al 3 agosto, per l’interpretazione della compagnia La Maschera. Il regista Bertozzo ha onorato il terzo anniversario della nascita di Goldoni, recuperando un testo che, fin dagli esordi, fu a torto disdegnato. La storia di Rosaura, destinata per volontà paterna a sposare l’anziano Pancrazio pur amandone, corrisposta, il figlio Ottavio, si discosta in maniera tale sia dal primo che dal secondo periodo dell’autore, da apparire quasi scritta da un altro.
Ciò che non convinse i contemporanei fu il tentativo di togliere la maschera ai suoi protagonisti e il penetrarne la psicologia in lunghi monologhi interiori mentre ciò che potrebbe estraniare oggi è la quasi assenza di quell’insieme di spunti comici presenti in altre opere. In sintesi, un altro Goldoni; più pacato, ma non per questo meno geniale.
Bertozzo ne ha catturato e sviscerato l’essenza, adattandolo ad un’epoca più recente (il Veneto a metà tra ’800 e ’900) e presentando figure realistiche tranne laddove il testo incita, in qualche modo, l’assunzione di tratti caricaturali. Così, perfino la stoltezza di Arlecchino (Claudio Andreani) perde un po’ i tratti canonicamente farseschi ma, poco prima dell’epilogo, il vecchio mercante (Claudio Gallo) e il dottore (Roberto Zamboni) si rimettono le maschere di Pantalone e Balanzone e riacquistano antiche posture e cadenze per regalare un emozionante scontro verbale. La magia si ripete quando il servo Trastullo (Gian Enrico Bertacche) si copre il viso per escogitare un piano che accontenti tutti i contendenti. Una rappresentazione ben calibrata, appannata nella serata della "prima" solo da piccole incertezze tipiche di un debutto. Tra la compostezza dei compagni di scena, Francesca Spezie si è distinta nella parte ironicamente ben congegnata della gelosissima Beatrice. D.CAR.
(L'Arena di Verona del 29.07.07)


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